L’assurda «guerra» del grano. Vince solo la speculazione
Leonardo Mastromauro. L’industriale della pasta denuncia la mancanza di un’autorità di controllo e chiede che venga istituita un’unica Borsa merci nazionale
29/10/2016

FELICE DE SANCTIS Rischia di acuirsi la guerra del grano fra agricoltori e produttori: i primi lamentano i prezzi bassi (crollati quasi del 50%), e rimproverano ai pastifici di acquistare grano estero (canadese, australiano e americano) a prezzi più elevati. Già ieri a Foggia ci sono stati forti tensioni fra agricoltori e partecipanti ad un incontro con esportatori esteri. I produttori, dal canto loro, pur difendendo il lavoro degli agricoltori, non possono fare a meno di miscelare il grano italiano con quello estero che possiede maggiori proteine per realizzare una pasta di qualità, che altrimenti non terrebbe la cottura. In questa “guerra”, a far la parte del leone è la speculazione che avviene soprattutto sui prezzi del grano estero lievitati da 220 a 300 euro e oltre, la tonnellata media (TM). La superproduzione italiana nel 2016 ha raggiunto oltre 5,5 milioni di tonnellate, il livello più alto registrato nell’ultimo decennio. La conseguenza, per la legge della domanda e dell’offerta, è stata il crollo dei prezzi. Tra l’altro, secondo i titolari di molini e pastifici, alla quantità non corrisponde la qualità, soprattutto dal punto di vista proteico. Insomma, la maggiore quantità, che molti agricoltori hanno perseguito, rischia di diventare un boomerang per loro, in quanto l’industria molitoria ha necessità di approvvigionarsi di grani esteri che vanno aggiunti nella misura del 20-30% al prodotto italiano, per garantire la qualità richiesta dal consumatore. Se si considerano i costi elevati del grano estero, ben si comprende come la situazione sia “socialmente ed economicamente allarmante per il mondo agricolo, ma fortemente preoccupante per la stessa industria molitoria, tenuto conto che l’attuale livello dei prezzi del frumento duro rischia di disincentivare la produzione in molte aree produttive, accentuare il deficit produttivo nazionale rispetto al fabbisogno dell’industria molitoria, svalutare le scorte della stessa industria e depauperare il prodotto semola, frutto dell’impareggiabile capacità dei nostri mugnai a selezionale e trasformare le migliori varietà di frumento duro” dice l’Italmopa (l’Associazione industriali mugnai d’Italia) aderente a Federalimentare e Confindustria. Ma sarebbe assurdo individuare nelle importazioni di grano i problemi della cerealicoltura italiana. Senza grano estero ci sarebbe lo stop alla produzione di farine e semole destinate all’industria pastaia, dolciaria e alla panificazione. In questa situazione ha buon gioco la speculazione sul prezzo del grano con gravi danni economici non solo sui pastifici, ma anche sui consumatori che rischiano, di riflesso, di subire il contraccolpo dell’aumento dei prezzi della pasta. “La speculazione – come dice Leonardo Mastromauro presidente del Pastificio Riscossa di Corato che con 70mila tonnellate l’anno e uno dei più importanti in Puglia – si evince dalle differenze di prezzo sui mercati del grano che risultano discordanti fra loro. Questo si nota ad esempio tra la produzione di grano duro nel centro Italia, con riferimento alla Borsa merci di Bologna e la produzione di grano duro nel Sud Italia con riferimento alle Borse merci di Altamura e Foggia. Infatti le quotazioni di Bologna (mercato nazionale) risultano inferiori a quelle di Foggia e Altamura. Oggi la quotazione di mercato di Foggia per il grano di proteine P. 11 oscilla fra i 218 e i 223 euro a tonnellata contro una quotazione che va da 206 a 211 a tonnellata, al netto del costo di trasporto, sul mercato di Bologna. Il tentativo della speculazione internazionale, già verificatosi lo scorso anno, è quello di portare il prezzo del grano da 220 a quasi 300 euro a tonnellata. “E tutto questo avviene – lamenta Mastromauro – per la mancanza di un’autorità di controllo, come potrebbe essere l’Antitrust o un’altra istituita ad hoc. Inoltre, perché non viene individuata una Borsa merci unica nazionale. Ci farebbe piacere che a guadagnare fossero più gli agricoltori, ripagando il loro faticoso lavoro. La messa a riposo dei terreni e la scelta delle migliori varietà proteiche da seminare è la strada da perseguire. Su queste basi si stanno moltiplicando gli accordi di filiera. Fare una guerra o proteste come quella della processione con la bara piena di grano, avvenuta qualche tempo fa, o come quella di ieri a Foggia per impedire l’importazione del grano estero, non ha senso, occorre solo far fronte comune contro la speculazione. In questa “guerra” tra agricoltori e produttori di pasta, si inserisce anche la recente dichiarazione del presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha promesso di inviare subito a Bruxelles il decreto sull’etichettatura della pasta. In pratica, le confezioni di pasta avranno l’etichetta che indica la provenienza del grano con cui è stata prodotta. Si punta, in tal modo, a valorizzare le produzioni di grano italiano di qualità, offrendo al consumatore maggiore certezza del prodotto made in Italy. Certamente non è la soluzione ottimale, ma servirà almeno a calmare le acque. Perché i consumatori sanno già che la pasta di qualità deve contenere per forza una percentuale di grano estero (canadese, americano, ecc.) altrimenti non raggiunge quel livello. Del resto proprio i brand più blasonati di pasta italiana contengono quelle percentuali che vanno dal 20 al 30% di materia prima non made in Italy. Insomma, un falso problema, anche perché ci sono già prodotti italiani che contendono il 100% di grano nazionale che già viene indicato nelle confezioni. Ma se può servire a calmare le acque, ben venga anche questa soluzione, molto… all’italiana. La Gazzetta del Mezzogiorno 29/10/2016- Puglia e Basilicata pag. 11

Felice de Sanctis
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